martedì 7 ottobre 2014

Fiera di essere femminista. Testimonianza di una nativa canadese sopravvissuta alla prostituzione

Intervento di una sopravvissuta alla prostituzione alla Conferenza promossa dall' Aboriginal Women’s Action Network, dal titolo «One is Too Many», Vancouver (C.-B.) Coast Salish Territories,  26 marzo 2009.

Buongiorno,
sono una discendente dei Kwakwakeuk e dei Coast Salish. Voglio ringraziare il popolo Coast Salish perché ci permette di essere qui, sui loro territori non ceduti. Discendo da generazioni di avi oppressi dai governi e dalle chiese. I miei genitori e i miei nonni sono tutti il prodotto delle scuole residenziali indiane. Io stessa ho subito il prolungamento del programma governativo di distruzione dell'unità del nostro popolo. Sono stata vittima di quello che oggi viene  definito il rapimento di bambini aborigeni degli anni Sessanta e sono stata collocata presso famiglie affidatarie violente ed abusanti.
Qui, sulle nostre terre ancestrali, abbiamo  visto perpetrare la violenza fisica e sessuale in modo sistematico e abbiamo subito incesti e molestie dai padri, dagli zii, dai  genitori affidatari. Questa violenza sessuale ci ha addestrato a quella futura. A 14 anni ho iniziato a fuggire da queste famiglie affidatarie. Sono arrivata a Vancouver a 15 anni e ho trovato mia mamma in un piccolo albergo fatiscente: il Sunrise Hotel. La sua forza era stata spezzata nella scuola residenziale che era stato il luogo di addestramento a ciò che l'avrebbe attesa nel futuro: uomini violenti e prostituzione. Mia madre ha pianto fino al giorno della sua morte. A 15 anni ho formato una famiglia nel quartiere più povero di Vancouver con altre persone come me, una famiglia da me creata o che è stata creata per me.
Mi sentivo un peso per la mamma che fruiva di un modesto assegno sociale. Sapevo che non era in grado di sopportare questo onere. Non avevo molte possibilità di scelta.
Così, quando ho incontrato quello che sarebbe diventato il mio ragazzo e il mio magnaccia, sono stata subito disposta a fare quel che ho fatto per sopravvivere. Sono stata preparata, addestrata, incoraggiata a prostituirmi dalle sue "belle" parole: "Lo fanno tutte!"  e dalle sue promesse: "Non ti amerò di meno". Ricordo di aver iniziato a prostituirmi molto giovane; ero ancora una bambina... e di aver pianto parecchio prima di addormentarmi...piena di vergogna e di rimorsi. Ho iniziato a  consumare droghe ed alcool per reprimere questi pensieri ed emozioni. In quel periodo della mia vita, ho pensato che questo fosse il mio destino e che non sarei mai riuscita a trovare niente di meglio. Il mio magnaccia confermava le mie convinzioni: "Nessuno vorrà più saperne di te". Mi sono così adattata ad una situazione difficile, che consisteva nel fatto che la mia vita era un incubo e che l'incubo sarebbe continuato qui in città.
Durante il periodo che ho trascorso in strada sono stata aggredita con coltelli e pistole, fisicamente e sessualmente, tante di quelle volte  da non poterle contare neppure se lo volessi. Molte volte mi sono trovata con gli occhi pesti e senza sapere a chi rivolgermi. Sono stata aiutata da alcune organizzazioni che mi hanno dato dei preservativi, moduli di denuncia degli aggressori e false speranze. Ho raccontato la mai storia all'organizzazione Alliance for the Safety of Prostitutes e ho partecipato a una sua campagna. Ho indossato t-shirts che recavano  la scritta: " A blow-job is better than no job " (Un pompino è meglio della disoccupazione). Mi hanno dato preservativi per proteggermi dalle malattie e dalle gravidanze, ma non mi hanno offerto alternative. Non mi hanno offerto mezzi per uscirne. Tutto ciò mi ha confermato nell'idea che questo fosse il mio "destino".
Non erano disponibili né alloggi, né corsi di formazione, né altre occupazioni.
Mi ricordo di aver sentito parlare di donne che erano sparite o erano state trovate morte mentre "stavano lavorando" in strada.  "Stavano lavorando": non mi piace usare questo verbo nella stessa frase in cui compare la parola "prostituzione". Non era un lavoro. Non c'erano vantaggi.  Non mi sono stati pagati gli elevati rischi corsi e i danni subiti, perché non era un lavoro: gli uomini pagavano per stuprarmi. Se non mi fossi imposta la regola di non uscire dalla città con un cliente, sarei morta anch'io. Sono stata avvicinata da uomini che volevano condurmi fuori dalla città.
Le mie amiche non hanno avuto l'opportunità di raccontare la loro storia, perché sono state trovate morte in luoghi come la fattoria di Pickton. Le piango. Ho anche contribuito a decorare un   totem in memoria di quelle che sono scomparse o che sono state trovate morte. Altre nostre sorelle spariscono ancora ogni giorno.
Nel corso dell'ultimo anno, ho appreso che due delle nostre ragazze si sono suicidate piuttosto di continuare ad essere pagate per essere stuprate. Si sono lanciate dal balcone per sfuggire alla violenza della prostituzione. Queste giovani hanno vissuto in luoghi come la Beach Avenue e hanno lavorato  per agenzie di escort di lusso  sedicenti sicure. E' triste quando il suicidio  sembra essere l'unica opzione rimasta, ma ciò accade di continuo.
Quello che sappiamo è che donne e bambine aborigene subiscono danni nel momento stesso in cui ne parliamo. Donne e ragazze ricorrono ad alcool e droghe per resistere.
Quando mia madre è morta a 38 anni, io ne avevo 22. Questo  evento ha segnato un punto di svolta nella mia vita. Non avevo più motivo di restare nel quartiere Downtown Eastside.
Ho cercato di trovare aiuto presso i centri di disintossicazione e di seguire il programma degli Alcolisti Anonimi. Non c'erano servizi concepiti per aiutare le donne ad uscire dai marciapiedi. C'era solo il modello della "riduzione del danno", dei preservativi e dei moduli di denuncia degli aggressori. Abbiamo un sacco di problemi da affrontare quando lasciamo il marciapiede. La vergogna, il disturbo da stress post-traumatico, lo spaesamento, la mancanza di autostima. Non avevo  istruzione ed esperienza per trovare un lavoro e non avevo accesso ad un alloggio sicuro e  a prezzi accessibili.
Quindi, quando dite di volerci offrire aiuto, noi rispondiamo che "Vogliamo fare veri lavori, non pompini".
Alcuni sostengono di avere il sostegno degli Aborigeni per promuovere i bordelli e la legalizzazione della prostituzione. Noi donne aborigene diciamo di volere altro. Vogliamo lasciare questa realtà in eredità ai nostri figli e ai nostri nipoti? Ho sentito dire che la prostituzione è il più vecchio mestiere del mondo. Se fosse così, come mai gli Aborigeni non hanno nemmeno un sostantivo nelle lingue tradizionali per indicare questa attività? Non fa parte della nostra cultura, non è questo che voglio lasciare ai miei figli. La prostituzione non è altro che violenza contro le donne, perché vorremmo lasciarla in eredità ai nostri figli? Come nativi, pensiamo alla salute nei termini propri della ruota della medicina, ossia come salute fisica, emotiva, mentale e spirituale. La prostituzione colpisce tutti questi ambiti e ci vogliono molti anni per guarire. Ancora dopo tanti anni, mi capita di piangere e di vivere il lutto della bambina che ero e che ha perso l'innocenza.
L'anno scorso abitavo nel quartiere di Downtown Eastside e ho visto una donna sulla cinquantina, una nonna sul marciapiede da due anni a causa della soppressione del sussidio. La prostituzione non avrebbe dovuto rappresentare la sua unica opzione di sopravvivenza. E' una vergogna che un Paese ricco di terre e di risorse non sia in grado di offrire un reddito annuo garantito ad una donna nativa.
Alloggi, un welfare migliore, maggiore formazione professionale e accesso all'istruzione senza il rischio di vedersi tagliate fuori dal welfare. Vogliamo più posti nei centri di disintossicazione e reali alternative per le donne che sono ancora sui marciapiedi. Abbiamo bisogno di programmi migliori di uscita dalla prostituzione, non di un bordello affinché i bianchi milionari che verranno a vedere le Olimpiadi del 2010 possano stuprare le donne più facilmente.
Vergognatevi se immaginate che noi, donne aborigene, difenderemo e promuoveremo gli interessi della lobby favorevole ai magnaccia.
Uso la mia esperienza per farvi comprendere cos'è accaduto e cosa continua ad accadere alle nostre donne e ai nostri bambini aborigeni. Voglio essere una voce per quelle che non possono parlare a causa delle circostanze in cui si trovano.
Quando avevo 14 anni e fuggivo da famiglie affidatarie dove si abusava sessualmente di me, cercavo mia madre. Cercavo sicurezza, protezione ed amore.
Quando finalmente ho trovato aiuto, è stato da donne del movimento femminista. Mi hanno aiutato a nominare la violenza che era stata commessa nei miei confronti. Credevano nella nozione radicale che io fossi un essere umano degno di sicurezza, di rispetto, di dignità, meritevole di avere una casa e un lavoro o una carriera.
Vivo ancora con i dolorosi ricordi del mio passato, ma non mi vergogno di me. Oggi sono una femminista autoctona fiera di esserlo. E sono orgogliosa di stare con le mie sorelle che si oppongono alla violenza sulle donne e sui bambini e che esigono che veniamo trattate con rispetto e dignità nelle nostre terre ancestrali.
Non lottiamo soltanto per i diritti delle nostre donne e dei nostri bambini aborigeni, ma lottiamo per il diritto di tutte le donne e di tutti i bambini a vivere liberi dalla violenza e dalla minaccia di diventare prostitute o vittime della tratta. Lottiamo per i diritti di tutte le donne e di tutti i bambini perché ciò che accade alle donne e ai bambini aborigeni accade alle donne e ai bambini di tutto il mondo.
Voglio ringraziarvi di essere qui oggi, di ascoltare le mie parole e di unirvi alla lotta per porre fine alla violenza contro donne e bambini.

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