venerdì 30 maggio 2014

L'esperimento fallito della legalizzazione







 I maldestri tentativi di ridurre lo stigma attraverso la legalizzazione fanno sì che i governi avvantaggino finanziariamente la tratta a scapito delle persone che si prostituiscono.
 
La mia amica Rachel Moran descrive nel suo libro, Paid For, come sia stata affidata alla custodia dello Stato all'età di 14 anni e come, nel giro di un anno, si sia trovata senza casa, affamata e vulnerabile. La mancanza di scelte l'ha spinta in braccio alla prostituzione. Nei sette successivi anni, è stata stuprata più volte dai clienti e ha subito una terribile violenza.
Per Rachel e per innumerevoli sopravvissute di tutto il mondo, lo stigma sociale è un problema che hanno affrontato fin troppo spesso. Esso deriva dal fatto che la società disumanizza le persone nella prostituzione, trattandole, quando va bene, come cittadine di serie B. Lo stigma impedisce alle persone prostituite di accedere ad un'adeguata assistenza sanitaria e le espone ad un maggiore rischio di violenza da parte di aggressori che spesso rimangono impuniti.
Per alcuni, la soluzione è semplice: legalizza l'industria del sesso e lo stigma sparirà. Ma sta aumentando il numero di esperti, di rapporti governativi e di pubblicazioni accademiche che confermano ciò che le sopravvissute dicono da tempo: la legalizzazione o la depenalizzazione dell'industria del sesso non riduce lo stigma, non elimina la violenza e non riesce ad aumentare la sicurezza delle persone nella prostituzione.
Nel tentativo di "porre fine allo sfruttamento delle persone a fini di prostituzione, cioè alla tratta", i Paesi Bassi hanno introdotto nel 2000 una normativa che ha legalizzato la prostituzione. Per 13 anni, tutti hanno osservato questo importante esperimento volto a ridurre lo stigma e la violenza.
I Paesi Bassi sono una nota meta del turismo sessuale e continuano a conoscere lo sfruttamento sessuale dei bambini e la tratta degli esseri umani sia nel settore legale che in quello illegale.
Nel tentativo di normalizzare la prostituzione e di "portarla allo scoperto", le donne sono invitate a registrarsi per pagare le tasse. Eppure, solo un esiguo numero di donne si è effettivamente registrato.
Rachel Moran ne indica le ragioni nel suo libro Paid For:
 
"Capisco perfettamente perché molte rifiutino di registrarsi e lavorino illegalmente pur di evitarlo, perché se fossi stata costretta a scegliere se lavorare   clandestinamente o essere ufficialmente etichettata come prostituta, avrei fatto esattamente la stessa cosa. La lobby pro-prostituzione avrebbe detto che soffrivo degli effetti negativi dello stigma che circonda le puttane. No. Gli unici effetti negativi di cui soffrivo erano quelli della prostituzione".
 
Ma i Paesi Bassi non sono gli unici a riconoscere le enormi lacune di una legislazione che era destinata a eliminare lo stigma connesso alla prostituzione, per "portarla allo scoperto" e ridurre lo sfruttamento. In Nuova Zelanda, dove la prostituzione e le attività ad essa connesse sono state depenalizzate nel 2003, il Primo Ministro John Key ha detto che ciò non ha comportato una significativa riduzione della prostituzione di strada e di quella minorile.
 
 

In un rapporto del governo, le donne che si prostituiscono sostengono che la legalizzazione della prostituzione non ha ridotto la violenza nell'industria del sesso e che " sono comuni abusi e molestie commesse da ubriachi nei confronti delle sex workers che esercitano in strada  ". Nel frattempo, un fornitore di servizi a Victoria, in Australia, dove la prostituzione è stata legalizzata nel 1980, dice: " Le donne ci dicono continuamente che lo status di prostitute viene usato contro di loro". La Germania è l'ultimo Paese che nei media nazionali discute apertamente del fallimento della legalizzazione.
Né la legalizzazione né la depenalizzazione pongono rimedio alla diseguaglianza di genere che si verifica quando un cliente acquista il corpo di una donna o di una ragazza. Stella Marr, una sopravvissuta della prostituzione e fondatrice della Sex Trafficking Survivors United, sottolinea come lo stigma nasca dalla domanda "da parte dei clienti di usare il loro potere politico e finanziario per comprare le [donne] più giovani, più povere, più svantaggiate e vulnerabili. Il segreto richiesto da questi compratori per occultare il danno che causano crea una forma particolarmente devastante di stigma: un soffocante silenzio imposto dalla paura e dalla vergogna".
Quando i governi non riescono ad affrontare la questione della domanda  nel mercato del sesso, non solo non riescono a tutelare le persone che si prostituiscono, ma traggono anche profitto  dalla prostituzione attraverso la crescita del gettito fiscale generata dallo sfruttamento.
Ma essi non sono i soli a beneficiarne.  Legalizzando il mercato del sesso, trafficanti, papponi, proprietari di bordelli e acquirenti di sesso beneficiano di questo miliardario business.
Nel tentativo di dare priorità ai diritti umani e alla sicurezza delle persone  che si prostituiscono, Svezia, Norvegia e Islanda hanno adottato il modello nordico, che criminalizza l'acquisto di sesso,  ne depenalizza la vendita e offre strategie di uscita alle persone che vengono acquistate.
In occasione del lancio della Piattaforma della Società Civile dell'UE contro la tratta di esseri umani a Bruxelles nel mese di maggio del 2013, la coordinatrice anti-tratta dell'UE, Marya Vassiladou, ha sottolineato che "gli Stati membri della UE sono legalmente obbligati ad adottare misure che affrontino la domanda che alimenta la tratta".
Dopo essere coraggiosamente uscita dal mercato del sesso, Rachel Moran spiega che cosa vi sia di radicalmente sbagliato nei tentativi dei governi di legalizzare la prostituzione anziché concentrarsi sulla domanda: "Essere prostituita è piuttosto umiliante; legalizzare la prostituzione significa perdonare questa umiliazione e assolvere chi la infligge. E' un angoscioso insulto".
 
 



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